Superbia ed il Vento

Da: Striscio e Volo

La serpe che veniva da prima,
prima delle mappe, prima di questa rima,
non conosceva colori, non conosceva venti,
solo il bianco lucido dei suoi denti.

La serpe primordiale, fu lei
a forgiare l’uomo, mica gli Dèi.
Forgiava di notte animali, piante e bambini,
e di giorno spose e mariti vicini.

Superbia, così si chiamava,
non dava né grazie, né mai perdonava.
Non chiese mai amore, solo imitazione,
pretese dal mondo la sua inclinazione.

Creò il lavoro prima del canto,
la colpa venne prima dell’atto.
E quando il mondo fu rigido e pronto,
guardò le sue bestie camminare storto.

Non disse parola, non fece un discorso,
non alzò la coda, la testa o il morso.
Le sue creature, d’acciaio e d’orgoglio,
crescevano dritte, ma piene di scompiglio.

Si amavano male, si uccidevano meglio,
guardavano il cielo dall’occhio più sveglio.
Ridevano spesso, ma senza un motivo,
pensando che vivere fosse un gesto divino.

Il vento non disse parola, né spinse alla guerra,
sfiorava la pelle, ma non mosse la terra.
Sembrava un boia che ha perso il mestiere,
rimasto a guardare chi nasce e chi muore.

Si potrebbe chiedere al vento, ma lui non parla,
conosce l’inizio, la fine e la farla.
Ha visto ogni cosa, dal basso all’altare,
ma sceglie ogni volta di non commentare.